La conferenza LIFE WOLFALPS “Bracconaggio, avvelenamenti ed esche avvelenate: nuove conoscenze, monitoraggio e misure di contrasto di un fenomeno sottostimato” si è tenuta il giorno 11 dicembre 2015, presso la Sala Pirelli del Grattacielo Pirelli (Piazza Duca D’Aosta, 1, Milano)

 

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Nel convegno sono state illustrate le conoscenze sviluppate nell’ambito del Progetto LIFE WolfAlps, dedicato al ritorno naturale del lupo sulle Alpi, e le diverse misure messe in atto in Italia per contrastare il fenomeno del bracconaggio della specie. Nel dettaglio, verranno affrontati temi quali gli avvelenamenti e l’uso di esche avvelenate, pratiche dannosissime per l’ecosistema e pericolose sia per l’uomo che per la fauna, anche quella domestica. Il convegno è rivolto in particolare ai soggetti che si occupano di tutela della biodiversità e della fauna selvatica (anche in riferimento agli aspetti di gestione sanitaria) e agli enti preposti alla gestione e sorveglianza del territorio.

Qui una sintesi dei contenuti dei singoli interventi:

 

Elisabetta Maria Rossi (Regione Lombardia)

Dalla scomparsa del lupo (Canis lupus) sulle Alpi italiane tra il 1920 e il 1931, si è assistito a un graduale ripopolamento naturale di questa specie sull’intera penisola, fino ad arrivare all’avvistamento del primo branco nelle Alpi Occidentali nel 1992 e della prima coppia nelle Alpi Orientali nel 2012. Da qui l’importanza di istituire un progetto comunitario di tutela della specie per difenderla dalle possibili minacce, tra cui bracconaggio e avvelenamento. Il progetto LIFE Wolfalps prevede il coordinamento di enti e istituzioni del territorio nel quinquennio 2013-2018 per sviluppare concrete politiche di monitoraggio, tutela e sensibilizzazione sul tema.

 

Francesca Marucco (Centro Grandi Carnivori, PNAM)

La ricolonizzazione naturale del lupo sull’arco alpino Occidentale è un processo che ha avuto inizio alla fine degli anni ’80 e tutt’ora in corso, con il movimento di lupi in dispersione che grazie al corridoio ecologico costituito dall’Appennino Ligure sono arrivati sulle Alpi Marittime italo-francesi costituendo i primi branchi a fine anni ‘90. Da allora, il numero di branchi di lupo nell’intero arco alpino è salito fino a raggiungere le 33 unità nel 2012, quando anche i primi lupi sono apparsi in maniera stabile nel centro-est delle Alpi. La ricolonizzazione naturale del lupo oggi interessa tutto l’arco alpino e necessita di una gestione coordinata dei problemi che la presenza del lupo genera, in particolare in relazione alla predazione sui domestici. In questo contesto è stato finanziato il progetto LIFE Wolfalps, per favorire azioni coordinate per la conservazione dei lupi sia nelle aree chiave che nell’intero arco alpino. Una delle prime azioni intraprese è stata quella di organizzare un campionamento sistematico del territorio per stimare le tendenze demografiche della specie e raccogliere dati oggettivi sul lupo, fondamentali per qualsiasi azioni di gestione. Sono stati quindi preparati gli operatori degli Enti ed è stato costituito il Network Lupo di monitoraggio, per un totale di 37 Enti coinvolti e 253 operatori formati e distribuiti sull’intero territorio alpino. Il primo monitoraggio esaustivo del lupo sull’arco alpino è stato condotto nell’inverno 2014-2015 e dai risultati preliminari è emerso che la presenza del lupo è stabile con branchi riproduttivi su gran parte del Piemonte, in Lessinia nel Veneto-Trentino. In Friuli e in Trentino sono presenti individui solitari stabili, ed avvistamenti sporadici sono registrati in Lombardia. Ulteriori ricerche hanno fatto emergere che tra le prime cause di mortalità del lupo sulle Alpi rientrano gli impatti con veicoli e il bracconaggio, quest’ultimo di difficile quantificazione e altamente sottostimato, che rimane una delle principali minacce alla conservazione del lupo a lungo termine. Tra le forme di bracconaggio, l’avvelenamento è risultato essere la causa di mortalità più grave.

 

Arianna Menzano (Parco Naturale Alpi Marittime)

Secondo recenti studi, il bracconaggio è la principale causa di morte del lupo in Italia. Date le gravi ripercussioni sull’ecosistema, è necessario sviluppare un quadro informativo del fenomeno per l’individuazione delle aree più problematiche e le modalità d’intervento per la prevenzione. Le modalità di bracconaggio prevedono svariate tecniche, dalle armi da fuoco all’utilizzo di esche avvelenate, le quali provocano gravi ripercussioni non solo sui lupi, ma anche sul resto della fauna. Dalla raccolta dati e dai sondaggi condotti tra il 2008 e il 2014, in collaborazione con vari enti e amministrazioni locali emerge il quadro di un fenomeno fortemente sottostimato, con una variabilità negli sforzi inerenti alle attività di antibracconaggio degli enti preposti; tuttavia, è ancora difficile determinare se lo scarso numero di denunce d’illeciti dipenda da un effettivo tasso ridotto dell’attività, piuttosto che da un minor sforzo persecutorio.
Dalle ricerche condotte sui casi di avvelenamento, invece, risulta che Piemonte e Lombardia siano le aree più problematiche, con l’individuazione di tre principali “hotspot” nelle aree a sud di Cuneo, a ovest della provincia di Torino e nella provincia di Brescia. I danni provocati da tale attività non coinvolgono solo i lupi, ma anche il resto della fauna: corvidi, ruminanti, ungulati, volpi, tassi, faine e, soprattutto, animali da compagnia.

 

Paolo Salsotto (Corpo Forestale dello Stato)

Nell’ambito delle attività di antibracconaggio previste dal progetto LIFE Wolfalps, sono state istituite 70 unità cinofile con formazione specifica del Corpo Forestale dello Stato e 23 unità formate dal personale di parchi naturali come quello delle Alpi Marittime, delle Alpi Cozie e del Marguareis. Nel 2015, su 20 uscite operative in Piemonte su 54 diverse tracce, sono state rinvenute le carcasse di 7 lupi (5 dei quali cuccioli), 3 vitelli e 8 cani da guardiania, più i resti di altri animali e bocconi di vario genere: più di 30 campioni sono stati raccolti e inviati per le analisi. Nel corso del 2015, in Piemonte, sono state inoltrate all’Autorità Giudiziaria 6 notizie di reato. Anche grazie alle attività di sensibilizzazione del progetto, sono stati avviati provvedimenti concreti per la prevenzione da parte delle autorità, come un tavolo di coordinamento e ordinanze ministeriali.

 

Elena Tironi (Regione Lombardia) e Giorgio Deligios (Corpo Forestale dello Stato)

Il Wolf Web Gis è un nuovo strumento per la raccolta e l’organizzazione delle informazioni sul bracconaggio. Si tratta di un software gestionale georeferenziato che restituisce la localizzazione degli indici di presenza dei lupi su mappa, caratterizzando gli esemplari in funzione della tipologia d’indice. Il Wolf Web Gis consente di acquisire informazioni sulla presenza della specie di riferimento prevedendo per ogni indice di presenza l’associazione d’immagini e documenti video. Per una migliore efficienza, le informazioni sono raccolte in modo centralizzato e condivise in tempo reale.

 

Monica Di Francesco (Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga)

L’uso illegale del veleno rappresenta tutt’oggi la minaccia più rilevante per la sopravvivenza di alcune specie selvatiche d’interesse comunitario. L’uso delle esche avvelenate in Italia è illegale dal 1977; tuttavia, la pratica è ancora molto diffusa (i motivi sono i più svariati, dal controllo dei predatori previe attività zootecniche alla competizione tra cercatori di tartufi e cacciatori) e non si dispone di dati omogenei per quantificare il fenomeno. Pertanto, oltre all’ordinanza del Ministero della Salute sul divieto di detenzione e utilizzo di esche avvelenate del dicembre 2008, nel gennaio 2009 è stato lanciato il progetto LIFE ANTIDOTO per conoscere, prevenire e fronteggiare l’uso illegale del veleno con misure innovative. L’area del progetto, durato sino a fine marzo 2014, ha coinvolto il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e le comunità autonome spagnole dell’Andalusia e di Aragona, in collaborazione con il Corpo
Forestale dello Stato. Tra le proposte: una sensibilizzazione alla conoscenza del fenomeno, l’agevolazione della denuncia d’illeciti e la creazione di una Banca Dati Nazionale una mappatura dei casi sul territorio. L’azione più importante del progetto, però, è rappresentata dall’impiego di due Nuclei Cinofili Antiveleno (NCA) nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga e di un ulteriore NCA in Aragona. L’uso degli NCA ha portato, tra il 2006 e il 2010, a una riduzione del 50% dei casi di avvelenamento registrati.

 

Livia Mattei e Luciano Sammarone (Corpo Forestale dello Stato)

Esistono norme e disposizioni (L. 157/92 e C.P. – artt. 544 bis, 544 ter, 727 bis) che tutelano gli animali e rendono passibili di pene o sanzioni chi compia delitti nei loro confronti. Pertanto, in caso di ipotesi di reato, l’operatore è obbligato a porre in essere attività utili a correlare tra loro tutte le componenti del delitto (il reo, la vittima e il mezzo lesivo). Si è constata, tuttavia, una crescente esigenza di migliorare i rilievi sulla scena del crimine. A tal fine, dunque, è stato elaborato uno strumento per gli operatori, Il “Vademecum Lupo – Protocollo multidisciplinare antibracconaggio e strategia locale antiveleno”, realizzato nell’ambito dell’azione A5 del Progetto Life Wolfalps, condiviso dal Ministero della Salute e già adottato da tutto il CFS. Le procedure sviluppate hanno
portato a risultati positivi nell’individuazione di responsabili di atti di bracconaggio.

 

Rosario Fico (Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana “M. Aleandri”) 

Il Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria ha lo scopo di monitorare, indagare e individuare i responsabili dei casi di avvelenamento. Inoltre, ha il compito di migliorare l’Ord. Min. del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 18/12/2008 sul divieto di utilizzo di esche avvelenate. Un’applicazione integrale dell’Ord. Min. permette, infatti, di rilevare e analizzare i dati necessari per intervenire con efficacia nella lotta all’uso illecito dei veleni. Una misura di contrasto ben integrata con il progetto precedentemente illustrato di LIFE ANTIDOTO. Dalle ricerche condotte finora dal Centro, è possibile sviluppare misure di contrasto efficaci a partire dai modus operandi: è emerso, infatti, che gli avvelenatori operano principalmente spinti da motivazioni comuni, come vandalismo, vendetta, o profitto e secondo gli schemi tipici di tutti gli atti criminosi (talvolta persino seriali). È stato possibile, pertanto, individuare dei modelli comuni: infatti, a) esistono aree critiche più colpite (hotspot), b) la tipologia di tossici usati dipende dalla reperibilità locale e c) vi sono dei picchi su base annua. Tale studio permette di capire dove attuare le misure di sicurezza e quando, per individuare tempestivamente i responsabili.

 

Marco Avanzo (Corpo Forestale dello Stato)

Le specie animali protette sono tutelate da leggi e decreti che definiscono le responsabilità connesse al loro avvelenamento o bracconaggio. Le sanzioni e le pene possono variare a seconda della tipologia e gravità del reato: reclusione da sei mesi a tre anni per distribuzione di sostanze velenose (Art. 146 T.U. leggi sanitarie), multe fino a 30.000€ o reclusione dai 18 ai 24 mesi per uccisione e maltrattamento (art. 544 C.P.). Altre norme, come l’art.30 della l.157/92 regola i limiti e i mezzi delle attività venatorie. Altre contromisure per la prevenzione e l’interruzione dei reati sono i sequestri probatori (ex art. 354 cpp) e preventivi (art. 321 cpp). Inoltre, il cpp e il C.P. prevedono rispettivamente ulteriori azioni operative quali le perquisizioni (delegate o d’iniziativa) e l’uso di strumentazione tecnica per le intercettazioni.

 

Squadre Cinofile LIFE Wolfalps delle Alpi Occidentali (Corpo Forestale dello Stato, Parco naturale del Marguareis, Parco Naturale Alpi Marittime, Parco Naturale Alpi Cozie) e Orientali (Regione Veneto, Polizie provinciali di Belluno, Vicenza e Treviso).

 

L’aiuto dei cani si è rivelato indispensabile per la lotta contro l’uso di esche avvelenate: dalla ricerca dei veleni e bonifica dei siti alla prevenzione. Si tratta di un’attività cinofila “pioniera”, con potenziale sviluppo sia per l’antibracconaggio che per la sicurezza delle aree urbane e agrarie. Le NCA delle Alpi Occidentali hanno già svolto ricerche in ambito cittadino e addestrato i cani sia alla ricerca di sostanze chimiche che al reperimento diretto di animali morti. L’addestramento dei cani si basa principalmente sull’associazione della ricerca di determinati odori a premi, o giochi, in modo da stimolare e motivare gli animali alla ricerca e segnalazione, come se si trattasse di un’attività ludica. Per precauzione, si insegna ai cani a segnalare gli odori anche a breve distanza, per evitare potenziali contatti con sostanze velenose.